Pubblicare foto dei bimbi sui social è pericoloso?

Buongiorno ragazze,oggi vorrei parlarvi di un argomento,che mi sta davvero a cuore e cioè della privacy dei bimbi sui social.Io,da quando è nata mia figlia l’ho sempre fatto e ho sempre censurato i suoi occhi e mostrato solo parti del corpo e l’ho fatto sia per paura e anche perchè mio marito,che lavora in questo campo,mi ha sempre spiegato cosa succede.Ora non voglio allarmarvi e nemmeno voglio che dall’oggi al domani,cambiate il vostro pensiero a riguardo e cancelliate tutte le foto messe in rete…Non è questo il mio obbiettivo.Il mio è solo informativo e penso che essendo madre,come voi,è giusto che voi sappiate.Quindi leggete e poi potete anche dirmi qualcosa in merito,se siete o non siete d’accordo.Siamo in un mondo libero e tutti possiamo pensarla diversamente.

Mio marito mi ha dato l’input e io ho fatto ricerche a riguardo.E devo dire,che ho trovato tanto.Vi scrivo alcuni articoli.

Perché è pericoloso pubblicare le foto dei bambini su Facebook
„Valentina Sellaroli, pm del Tribunali dei minori di Torino, spiega a Repubblica quali rischi si corrono condividendo sul social network le immagini di figli e minori“
Ancora un nuovo, accorato appello in difesa dei bambini: pubblicare le foto dei propri figli su Facebook è pericoloso. Valentina Sellaroli, pm presso il Tribunale dei minori di Torino, lancia l’allarme contro una pratica molto comune ma sconsigliabile, nonostante il recente impegno di Facebook in materia di privacy. Il pm, intervistata da Repubblica, ha commentato la nuova funzione “Scrapbook”, che a breve sarà introdotta negli Stati Uniti dal social network di Mark Zuckenberg. Scrapbook è un gestore di foto per organizzare meglio le proprie immagini, grazie a un uso più efficiente e specifico dei tag che “restringe” la possibilità di condivisione per tutelare meglio la privacy. Ad esempio, “se scegli di taggare tuo figlio in una foto, questa sarà aggiunta in un album personalizzabile”, spiega il blog ufficiale di Facebook. Ma per il giudice Sellaroli non è abbastanza.

QUALI SONO I RISCHI – “Il primo invito alla prudenza viene banalmente dalla diffusività del mezzo. Pubblicare su internet la foto dei propri bambini è di per sé atto che potenzialmente può raggiungere un numero di persone, conosciute e non, indiscutibilmente più ampio che non il semplice gesto di mettere la foto dei propri figli più o meno in mostra sulla propria scrivania – spiega a Repubblica – Significa, cioè, esporli realisticamente ad un numero esponenzialmente maggiore di persone che possono anche non avere buone intenzioni e magari interessarsi a loro in maniera poco ortodossa. Non è così frequente ma neppure irrealistico il rischio che persone di questo genere (genericamente pedofili o persone comunque interessate in modi non del tutto lecite ai bambini) possano avvicinarsi ai nostri bambini dopo averli magari visti più volte in foto online”. Tra gli altri pericoli nascosti, c’è anche quello che queste foto vengano usate per scopi pedopornografici da “soggetti che taggano le foto di bambini online e, con procedimenti di fotomontaggio più o meno avanzati, ne traggono materiale pedopornografico di vario genere, da smerciare e far circolare tra gli appassionati”. Una condotta che, specifica Sellaroli, “non è affatto così infrequente nella realtà, specie se parliamo non di singoli ‘appassionati’ del genere ma di circoli e giri di pedopornografici che producono immagini di questo tipo per uno scopo di lucro o comunque per un interesse personale di scambio su larga scala. Si pensi infatti al valore aggiunto che hanno immagini moltiplicate più e più volte a partire dagli stessi bambini reali (e dunque senza troppi rischi materiali) ma giungendo ad ottenere un numero assai significativo di immagini pedopornografiche che sembrano ‘nuove’ e dunque più appetibili”.

L’EUROPA INTERVIENE – La pratica del fotomontaggio è punita come anche quella di produrre queste foto con bambini reali e “non sempre serve che le pose siano sessualmente lascive o esplicite, come veniva richiesto un tempo”, grazie a una legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (la cosiddetta Convenzione di Lanzarote), nel 2012, che “ha modificato la norma del nostro codice penale che punisce la pedopornografia minorile introducendone una nozione esplicita”. Dice Sellaroli: “Si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore degli anni diciotto per scopi sessuali”. La decisione quadro del Consiglio Europeo n. 2004/68/GAI del 22.12.03, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, spiega Sellaroli, intendeva esplicitamente  per pornografia infantile anche, all’art. 1 n. 3 “immagini realistiche di un bambino inesistente implicato o coinvolto nella suddetta condotta”, punendo dunque “anche la realizzazione virtuale di una immagine che veda bambini o comunque minorenni coinvolti in immagini esplicite (ove per esplicito potrebbe bastare anche la nudità degli organi sessuali) utilizzate per scopi sessuali da chi le produce, le cede, le riceve o le detiene”.

Tra gli altri rischi connessi alla pubblicazione di immagini di bambini su Facebook, c’è anche quello relativo ai casi di adozione o affidamento, con minori allontanati da famiglie pericolose, dove erano maltrattati o abusati. “Se il bambino era già abbastanza grande quando è stato allontanato, rischiano di avere un canale di ricerca in più per raggiungere i bambini e le loro nuove famiglie che così non possono più essere tutelati nella loro riservatezza ed anche nella incolumità personale”, conclude Sellaroli.

Anche su You Tube,la cosa è stata vista negativamente.

SE LE POLICY sostengono una tesi, la pratica viaggia spesso nella direzione opposta. Semplicemente perché non c’è un controllo effettivo possibile. Ma anche perché spesso sono gli stessi genitori a trascinare in vario modo i figli nell’ecosistema delle piattaforme sociali. Col paradosso che, per esempio, su Facebook è vietata l’iscrizione ai minori di 13 anni ma le nostre bacheche sono invase di neonati o fra gli utenti ne spuntano evidentemente di giovanissimi. Se a questa situazione di fatto si aggiunge l’interesse delle big company che stanno alle spalle di questi strumenti – tenere a battesimo la prima generazione di autentici “nativi sociali” – il quadro è completo. E non del tutto rassicurante.

La situazione in teoria. Su Facebook servono almeno 13 anni per creare un profilo quasi in ogni parte del mondo. Solo in Spagna e Corea del Sud ce ne vuole uno in più. Ma da tempo si parla di una versione della piattaforma anche per i più piccoli, dove il profilo del bambino sarà in qualche modo collegato a quello di almeno un genitore. Il primo passo è stato compiuto pochi giorni fa con Scrapbook, niente più che una versione digitale del vecchio album fotografico di casa (che, in questi dieci anni di vita del sito, si è estinto per reincarnarsi proprio fra gli album del social): anziché taggarsi a vicenda nelle foto del piccolo, rendendole visibili agli amici e agli amici degli amici, i genitori possono catalogare l’immagine con un tag specifico per inserirla in un album del quale impostare poi le opzioni per la privacy. Una cosa del genere si poteva più o meno già fare lavorando a lungo sulle impostazioni di un singolo album, ma così è più semplice. “La creazione di un account con informazioni false costituisce una violazione delle nostre condizioni d’uso”, si legge sul Centro d’assistenza di Facebook, “lo stesso vale per gli account registrati per conto di persone sotto i 13 anni”.Anche Twitter ha scelto quella soglia – 13 anni – legata all’osservanza di una legge statunitense (il Children’s Online Privacy Protection Act approvato nel 1998, che finisce dunque per imporre lo stesso limite a tutti i mercati in cui sono presenti servizi di società americane) ma la formulazione delle condizioni d’uso è addirittura meno perentoria di quella di Facebook: “I nostri servizi non sono diretti a persone di età inferiore ai 13 anni”, c’è scritto, “se vieni a sapere che il tuo bambino ci ha fornito informazioni personali senza il tuo consenso, ti preghiamo di contattarci all’indirizzo privacy@twitter.com. Non raccogliamo consapevolmente informazioni personali su bambini di età inferiore a 13 anni. Se veniamo a sapere che un bambino di età inferiore ai 13 anni ci ha fornito informazioni personali, ci attiviamo per rimuovere tali informazioni e cancellare l’account del bambino”. L’ultima moda, Periscope, segue le privacy policy della casa madre. Stesso discorso per Instagram, controllato da Facebook: “You must be at least 13 years old to use the Service” si legge in inglese, senza neanche la versione in italiano. Tanto chi la legge.

Quindi i genitori esagerano?

Sempre più genitori condividono informazioni, foto e video dei loro bambini su Facebook e altre piattaforme social. Il fenomeno è stato battezzato sharenting (da “share”, condividere, e “parenting”, essere genitori): un’indagine del C.S. Mott Children’s Hospital dell’Università di Michigan cerca di metterne in luce i pro e i contro. Per madri e padri dell’età dei social network si tratta di un’attività molto comune. Questo loro atteggiamento, però, rischia di mettere a repentaglio la privacy dei figli minori, creando, oltretutto, una loro identità digitale prima che diventino adulti e in grado di usare consapevolmente gli strumenti web. Secondo i ricercatori, che hanno intervistato un campione rappresentativo di genitori Usa con bambini di età inferiore ai 4 anni, spesso si esagera nella pratica dello sharenting. Perché è difficile resistere alla tentazione di condividere via Internet. Quando i piccoli sono malati, fanno i capricci, piangono o si disperano, urlando a squarciagola, si va sul web per chiedere consigli ai più esperti. Non è facile il lavoro di mamma e papà e si ricorre a blog, forum, e social network per parlare dei problemi della genitorialità, discutere e scambiare opinioni con altri adulti, e trovare conforto e rassicurazione da chi ha già passato la stessa esperienza. La maggior parte, il 72% dei casi, si rivolge a social network e forum per sentirsi meno soli. D’altra parte, i temi discussi con più frequenza sono quelli della quotidianità come la salute, il sonno, l’educazione, l’alimentazione e il comportamento. Molti sottolineano gli aspetti positivi della condivisione. Restare sveglio tutta la notte perché il bambino non ne vuole sapere di dormire e contattare su Facebook un amico per chattare serve a sfogarsi e a ritrovare la calma. Utilizzare i social network può, d’altronde, essere un modo per mantenere rapporti con parenti e conoscenti lontani, e tuttavia ci sono anche i lati negativi dello sharenting. Con troppa noncuranza gli adulti, a volte, espongono i piccoli sotto i riflettori dei social media. Non di rado, i minori diventano popolari baby star, loro malgrado. Tra gli esempi, si possono citare video virali come “Charlie bit me finger ” che ha avuto un grosso impatto , tanto da conquistare l’interesse di Wikipedia , per giunta consentendo ai genitori di intascare migliaia di dollari. Qualche blog come STFU, Parents ha tentato di affrontare la questione prendendo in giro gli adulti “sharenter”, ma dal sondaggio di C.S. Mott Children’s Hospital emerge la preoccupazione di conseguenze più serie a danno dei più piccini. I pericoli riguardano, innanzitutto, sicurezza e privacy – spiega Sarah J. Clark, ricercatrice della University of Michigan. Oltre la metà dei genitori interpellati temono che i contenuti da loro postati possano mettere in imbarazzo i loro figli, una volta cresciuti. Dati che possono riferirsi ad aspetti sensibili della vita personale di un bambino o permetterne la localizzazione. Clip e immagini, magari inappropriate, che, inserite online, possono sfuggire al controllo, finendo in chissà quali mani. Di quelle dei cyberbulli, ad esempio. Non solo giovani ma anche adulti, come nel caso del gruppo Facebook , chiuso qualche tempo fa, i cui autori si divertivano a postare commenti sulla bruttezza di bimbi ritratti su foto, prese dal web senza autorizzazione. Come se non bastasse, più di recente, è stato denunciato un odioso fenomeno di vero e proprio “sequestro digitale ” dei contenuti online. Una tendenza in cui estranei si appropriano fraudolentemente di foto di bambini altrui, spacciandosi per i loro genitori su Facebook o Instagram. Per chi lo subisce il “digital o virtual kidnapping” rappresenta un’esperienza scioccante che, per reazione, può portare le persone ad agire sul web in maniera più responsabile. Senza rinunciare a condividere ma essendo attenti a proteggere di più i loro piccoli e la loro privacy.

Adesso parliamo d’Instagram!

L’amore delle mamme e dei papà è spesso dimostrato in Rete attraverso gli scatti condivisi sui Social che hanno per protagonisti i loro piccoli. Su Instagram spopolano le immagini e i ritratti di bambini in pose buffissime. Visto questo crescente trend, questa settimana  The Vortex ha chiesto a Fractals, società che effettua indagini e monitoraggio dei trend online, di portarci alla scoperta dei tags che hanno più successo su Instagram e dei profili delle mamme che li hanno generati.

1) BAFFI E BARBA. Spopola su Instagram la moda di mettere ai propri figli baffi, sopracciglia e barba posticce. Anche in Italia va molto di moda il ciuccio con i baffi ! E’ la declinazione sui più piccoli della moda “vintage” che riporta in auge baffi alla Clark Gable e barbe da boscaiolo di montagna per gli hipster di mezzo mondo.

2) BIMBI DA SFILATA! Anche i più piccoli sono ormai pratici di selfie, duckface (l’espressione in cui si tirano in fuori le labbra per essere più “sensuali”) e… completi eleganti! Il #babysuiting è stato inventato da @mommyshorts, una mamma di New York famosa per le sue invenzioni di tags che diventano subito virali. Altra mamma molto attiva nel trend del “mini-me” è @2sisters_angie che senza alcuna base tecnica ha iniziato a creare per la figlia abiti di carta di ogni tipo: anche Vogue l’ha notata le ha commissionato alcune riedizioni biodegradabili delle mise più chic. C’è poi chi, come @laurasykora coinvolge la sua piccola in complicate posizioni yoga. E la piccola dimostra tantissima agilità!

3) TRAVESTIMENTI! Collage di animali sopra i musetti dei più piccoli o “illusioni ottiche” su neonati che spariscono in enormi tazze da tè o spuntano da banane sbucciate, come in illustrazioni alla Anne Geddes fai da te. Dietro al trend del #babymugging c’è sempre lei… @mommyshorts!

4) BAMBINI E AMICI ANIMALI: un grande classico ritrarre i propri figli con gli animali, ancor di più se l’animaletto abita tra le mura di casa! Le due instamamme più famose in questo campo sono @mommasgonecity che fotografa la crescita del figlio e del cagnolino che hanno adottato immortalandoli mentre dormono mese dopo mese, e @thegracechon che crea immagini speculari in cui cane e bambino indossano outfit identici.

5) SO… WHAT? Il #babyshaming consiste nel sovrapporre o far reggere al proprio bambino un cartello che narra le malefatte appena compiute dallo stesso, mentre si chiama #babycaption l’aggiungere a posteriori ad una foto particolarmente espressiva una frase che cerchi di interpretare i pensieri del piccolo protagonista.

Detto ciò,concludo dicendo che siamo liberi di decidere quello che vogliamo sui nostri figli,ma è meglio tenerseli per se stessi,quell’emozioni e quelle gioie,che ogni giorno ci danno o è meglio che altri (senza sapere chi) vedano tutto ciò???E poi quando saranno grandi,apprezzeranno ciò o no??? Io continuo per la mia strada,così mi tolgo ogni dubbio e sono più tranquilla!

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Fonte:http://www.facebook.com/pages/Todayit/335145169857930,http://www.repubblica.it/,http://webwomenwant-d.blogautore.repubblica.it/,foto presa da internet.

 

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